domenica 25 ottobre 2015

Recensione #06 Branchie - Niccolò Ammaniti



Questo è sicuramente il libro peggiore che ho letto questo mese. Ero molto curiosa di leggerlo, perchè si tratta del romanzo d'esordio dell'autore romano, scritto durante la stesura della sua tesi di laurea di Biologia (se finiva la tesi era molto meglio...) 
Il romanzo, uscito nel 1994, segue le vicende di Marco Donati, proprietario di un negozio di pesci a Roma, che si ritrova misteriosamente a intraprendere un viaggio in India, che decide di affrontare anche per evitare le cure di cui avrebbe bisogno per una grave malattia. In una Nuova Dehli improbabile, si ritroverà a suonare il didgeridoo in un bizzarro complesso musicale che predilige esibirsi nelle fogne, e che si troverà a dover affrontare un pericoloso chirurgo estetico pazzo che si diverte a giocare a fare il Frankenstein di turno.
Il racconto è un apologia dell' assurdo, con una forte componente di violenza. Ecco, forse è proprio questa combinazione che non mi convince mai, satira e ironia, combinati alla violenza. La delusione deriva anche dalle forti aspettative che avevo per questo libro, speravo si concentrasse molto di più sugli aspetti di biologia che invece sono quasi assenti. Il mestiere del protagonista sembra essere solo un'etichetta, perchè l'autore non approfondisce affatto questo aspetto. Peccato, ma essendo il suo romanzo d'esordio si può anche accettare, soprattutto ricordando gli ottimi libri che ha scritto in seguito.

Del libro è stato tratto addirittura un film...non oso neanche immaginare!


domenica 4 ottobre 2015

Kazuo Ishiguro - Festival della Letteratura di Mantova 2015

Con immenso ritardo scrivo finalmente il resoconto dei due incontri seguiti con Kazuo Ishiguro al Festival. Questa era un'occasione davvero da non perdere, poichè l'autore non veniva in Italia da parecchi anni e pubblica così sporadicamente che quando è presente non bisogna farselo scappare...


In occasione dell'uscita in Italia di "Il gigante sepolto", l'ultimo romanzo dell'autore anglo-giapponese, il Festival di Mantova lo ha ospitato offrendo ben due occasioni per incontrarlo. In una conferenza, intervistato da Michela Murgia, Ishiguro ha presentato il suo libro e la sera precedente, in un ambito decisamente più intimo e tranquillo, ha chiacchierato con il pubblico sui legami e le differenze tra cinema e letteratura. 

"Telling stories" (chiacchierata con Amedeo d'Adamo)

I legami tra 'Ish' e il cinema risalgono ancora all'inizio della sua carriera, quando scriveva per la televisione e abbozzava sceneggiature. La domanda che si sono posti durante la conferenza è la seguente: "Cos'è che al cinema riesce meglio della letteratura? E cosa invece riesce meglio alla letteratura che al cinema?"
La chiave di partenza è la memoria, fil rouge dell'opera dell'autore. (Basta pensare all'importanza della memoria in Quel che resta del giorno o in Quando eravamo orfani). La presentazione della memoria, dei ricordi riesce molto bene sulla carta stampata, ma fatica sul grande schermo. Il cinema fa uso di stratagemmi quali i flashback per rappresentare le memorie e il passato, ma l'ambiguità non sopravvive sullo schermo. I ricordi possono essere immagini ferme anzichè in movimento, e questi tableaux vivants si fermano bene sulla carta, ma il cinema, che è fatto di azione, di movimento, non ci riesce. Sono pochi i film che riescono a catturare bene l'idea della memoria (si cita Hitchcock e C'era una volta nel West). I documentari invece, hanno la capacità di catturare meglio i ricordi, sono un'estensione del passato, 
L'incertezza e la vaghezza dei ricordi mostrano anche il modo in cui le persone rielaborano il loro passato, come lo manipolano o lo nascondono. Nei romanzi inoltre si fa spesso uso di punti di vista alternativi a quello del protagonista, e le ambiguità possono essere presentate ad esempio attraverso l'uso di un narratore inaffidabile, ma al cinema? 

L'azione invece risalta sullo schermo, molto meglio che sulla carta. Il cinema contemporaneo, specialmente quello americano, è molto concentrato sull'azione e gli spettatori vogliono vedere il trionfo dello spirito umano. Il cinema giapponese invece ha delle tendenze molto diverse, in esso si rappresenta spesso l'accettazione stoica di un destino crudele. Infatti, la rassegnazione dei personaggi di 'Non lasciarmi' era molto aliena ai produttori americani, che definirono lo definirono "Il film in cui i ragazzi muoiono".
Ecco dunque, l'azione sul grande schermo funziona meglio, è più difficile da scrivere in narrativa e non occupa lo stesso spazio nell'architettura del testo, può solo essere un passaggio.

Quasi tutte le scene d'azione al cinema, nei film come quelli della serie di Jason Bourne, sono azioni difensive. Il protagonista scappa, e nelle scene di battaglia viene attaccato, Ma negli ultimi film di James Bond molte scene sono diventate di attacco, come a mostrare un'aggressività in aumento della società. Le emozioni che ne vengono fuori sono molto diverse, spinte dagli istinti primordiali di cacciatore. L'azione difensiva invece crea un legame diverso tra lo spettatore e i protagonisti. Basta pensare all'Isola del tesoro di Stevenson, dove l'azione difensiva iniziale ti lega al personaggio. Solo in seguito diventerà egli stesso 'cacciatore'.

L'alleanza tra cinema e letteratura è necessaria, entrambi i media funzionano bene e si alimentano a vicenda. Il cinema ha bisogno della narrativa, sta finendo le idee, il cinema invece fa pubblico, rende nota una vicenda.
Una delle difficoltà legate alla scrittura di scene d'azione sta nel fatto che chi scrive si affida alle immagini che ha visto nei film, ne è influenzato. La fase più interessante allora della scrittura d'azione è quella che precede l'era cinematografica. Dovremmo tutti 'purificarci' dal cinema per scrivere una scena d'azione.


Michela Murgia intervista Kazuo Ishiguro

Trovare insieme due autori molto stimati come questi è stato davvero un bel colpo di fortuna. E una combinazione così insolita poi, ma molto riuscita.
Murgia e Ishiguro hanno parlato assieme del nuovo libro, di recente traduzione italiana, "The Buried Giant" ovvero "Il gigante sepolto" e del tema della memoria e della dimenticanza. Quando è importante mantenere vivo un ricordo? Quando invece è necessario dimenticare per riuscire ad andare avanti?

Questo romanzo ha sorpreso molti lettori, venendo categorizzato come romanzo di genere fantasy, quando gli altri suoi romanzi sono considerati 'letteratura'.

La discussione lascia Ishiguro piuttosto perplesso. I generi della narrativa vengono gerarchizzati, creando così una letteratura alta e una bassa, come se ci fossero generi migliori, superiori ad altri. Lui voleva solo scrivere un buon libro, non considerando affatto a che genere letterario potesse appartenere.
Questa suddivisione di genere è pericolosa, perchè puà portare a una limitazione nelle scelte di lettura delle persone, a far sì che alcuni lettori si racchiudiano all'interno dei confini di uno o più generi, ignorando gli altri. Ma le limitazioni possono riguardare anche gli scrittori. Questi generi sono confini dell'immaginazione. E da dove vengono queste categorie? Sono state inventate dalle case editrici, al solo scopo di vendere. Dovremmo superare questi confini, non crederci. L'ultima cosa a cui pensa scrivendo, continua, è proprio in quale genere verrà catalogato il suo romanzo. Qualsiasi metodo va bene per far funzionare la storia. Paragona la sua scrittura alle bizzarre macchine volanti della prima epoca dell'aviazione; le persone costruivano macchine dall'aspetto curioso, ma non importava il loro aspetto, importava solo che alla fine spiccassero il volo. "Quando scrivo, cerco solo di far volare la storia, qualsiasi aspetto essa abbia."

La memoria è il tema centrale di questo romanzo. Un intero popolo dimentica il proprio passato, poichè racchiude qualcosa di orribile. La pace che si è potuta costruire in questa società è fondata sulla dimenticanza collettiva.
La storia è nata dall'idea di indagare come i popoli possano ricordare, anzichè i singoli individui. Come fanno? Ci sono momenti in cui una nazione deve dimenticare per riuscire ad andare avanti? A volte, per il bene della pace è meglio voltare pagina, per fermare il circolo di violenza. Questa può essere una pace vera. Nella storia è successo più volte che un popolo sembrasse in pace, ma una volta rimosso un dittatore, o cambiato un governo, sono riemerse antiche violenze (in Medio Oriente, ad esempio). Dimenticare può essere importante per trovare una pace più profonda, più duratura.
Questo discorso può valere anche per le famiglie, per i matrimoni, dove a volte bisogna mettere da parte dei momenti di incomprensione, di litigio, per mantenere un forte legame. Ma l'amore può essere genuino se si basa sulle dimenticanze? O a un certo punto svanisce a causa di esse? I protagonisti del romanzo, anziani, si pongono proprio questo quesito, se è necessario ricordare il loro orribile passato per dimostrare che il loro rapporto è genuino.

La stessa nebbia che avvolge la terra del romanzo sembra avvolgere anche le nostre democrazie, dove siamo sommersi da storie, immagini e contenuti ma si dimentica così tanto. Si dimentica anche per difendersi da questo flusso continuo, inarrestabile di informazioni. Se pensiamo a come le nazioni ricordano, viene da domandarsi dove sono le banche di questa memoria e soprattutto, chi le controlla. I nostri paesi contengono enormi giganti sepolti, che collettivamente si ha deciso di dimenticare.
Con tutti i mezzi a nostra disposizione, l'effetto finale è di non possere nessuna informazione. "L'eccesso è una mancanza."
Come ricorderemo il nostro passato recente? L'Europa è costruita sui giganti sepolti della Seconda guerra mondiale, e gli Stati Uniti su quelli delle lotte razziali.
Spetta anche ai romanzieri la responsabilità di scegliere cosa raccontare e cosa no.

Ishiguro continua spiegando perchè preferisce scrivere romanzi e non saggi. I romanzi sono in grado di catturare le emozioni e spiegare cosa vuol dire essere umani. Vuole porgere delle domande al lettore, chiedergli se anche lui 'si sente così', per capire se è così che ci si sente a vivere una vita umana.

Attraverso la narrativa la memoria diventa di tutti. Tutte le memorie del mondo ci appartengono perchè qualcuno ce le ha raccontate, in un modo o nell'altro. La letteratura quindi è uno spazio dove non ci sono le risposte, ma ogni interpretazione è possibile, le domande non vengono uccise dalle risposte degli altri.

Anche in Italia abbiamo sperimentato il problema di far conciliare le memorie di vincitori e vinti. Ma il confine tra riconciliazione e rinnegazione è labile, è sempre il vinto che vuole la riconciliazione, il vincitore preferisce la memoria.
Questo delicato equilibrio è stato miracolosamente raggiunto in Europa e in Sudafrica dopo la guerra. Chiedere ogni tanto di dimenticare è un male necessario, chi ha commesso qualcosa la fa franca, ma mette un punto alla violenza. Dopo l'Apartheid sono stati evitati pesanti conflitti, grazie a un processo di riconciliazione consapevole e deliberato. Anche l'Europa è piena di colpe sepolte, è un miracolo che alcuni paesi oggi vivano in pace gli uni con gli altri, se si pensa alla geografia politica del ventesimo secolo. Si è arrivati a perdonare senza dimenticare del tutto. La pace così raggiunta è autentica, non forzata da nessuno. Questi sono buoni esempi di equilibri raggiunti con consapevolezza.

E il Giappone? Non ha fatto un buon lavoro nel gestire il proprio passato, i ricordi della guerra. Dopo la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti avevano bisogno di un Giappone forte e i cittadini sono stati incoraggiati a vedersi solo come vittime e a dimenticare il proprio ruolo di aggressori nella guerra. Solamente in anni recenti i giapponesi hanno iniziato a chiedersi per la prima volta che cosa hanno fatto, perchè i cinesi e i coreani sono amareggiati con loro. Se il Giappone è diventato uno stato forte e democratico, è stato soltanto per questo, ma gli impuniti sono stati molti.


Adesso non vedo l'ora di immergermi in questa lettura, spunto di riflessioni così importanti!