lunedì 9 maggio 2016

Short stories #02: The tooth: Shirley Jackson

Secondo appuntamento con la rubrica in cui parlo di racconti brevi. Un racconto breve per essere precisi.
Questa volta l'autrice in questione è l'americana Shirley Jackson (1916 - 1965). Deve la sua fama soprattutto alla racconto "La lotteria" (The Lottery, 1948), in cui un tranquillo villaggio della campagna americana svela un lato molto sinistro e radicato della propria tradizione. Pubblicato sul New York Times ebbe un successo strepitoso.

Ma invece di parlare di questo racconto così noto vorrei parlare di un altro racconto che si trova nella stessa raccolta, in cui venne pubblicato La lotteria in seguito (1949), ovvero "Il dente" (The Tooth):



Clara Spenser parte con un autobus notturno diretto a New York. Deve andare dal dentista per farsi togliere un dente che le dà noia da molti anni. Dopo un viaggio molto confuso, dovuto al dolore, agli antidolorifici e un compagno di viaggio molto disponibile e presente, Clara arriva finalmente in città e si reca dal suo dentista. L'operazione la libera dal dolore, ma davanti allo specchio del bagno delle signore Clara non è più capace di riconoscersi, perché una parte fondamentale di lei non c'è più. Come se quel dente doloroso la definisse e levato quello la sua identità si fosse persa. La rivelazione di fronte allo specchio è forte, uno shock. Acuito dalla presenza di altre due donne oltre a lei, tre sconosciute, come dice Clara, lei finalmente è costretta ad accettare di essere quella più pallida e ansiosa delle tre:


She was the pale anxious one with the hair pulled back and when she realized it she was indignant and moved hurriedly back through the crowd of women, thinking, It isn't fair, why don't I have any color in my face? There were some pretty faces there, why didn't I take one of those? I didn't have time, she told herself sullenly, they didn't give me time to think, I could have had one of the nice faces, even the blonde would be better. (p. 25)

Il racconto è infuso di ambiguità, anche linguistiche, perchè Clara passa attraverso vari stadi di coscienza e situazioni limite, dal dolore agli antidolorifici, ai narcotici del dentista. La sua percezione della realtà viene quindi messa duramente alla prova e anche noi come lettori non riusciamo più a capire cosa sta succedendo 'veramente'. 
L'inquietante presenza costante di Jack, che Clara incontra sull'autobus e poi nuovamente a New York, dopo l'operazione, ci fa ancora dubitare della parola di Clara. Chi è Jack? Esiste davvero o soltanto nella sua immaginazione?
Ammetto che la tensione provata da Clara andando dal dentista è una che conosco molto bene e mi ha quindi permesso di immedesimarmi meglio nel suo personaggio. Non si può parlare di denti ed estrazioni alla leggera...

L'edizione: Questo libro fa parte dei Penguin Mini Modern Classics, una collana uscita dalla Penguin nel 2011 per i Cinquant'anni della loro fortunata collana Modern Classics. Si tratta di 50 brevi raccolte di racconti o novelle (The Tooth conta 70 pagine), che si prestano molto bene per scoprire nuovi autori e autrici. Mancano però di un apparato di note o di commenti e non contengono neanche una introduzione biografica dell'autore/autrice. Questo è sicuramente un punto a loro sfavore. 

mercoledì 4 maggio 2016

Recensione #13: The Book of Strange New Things - Michel Faber


Ho appena concluso questo mattoncino di 586 pagine e devo mettere su carta (metaforicamente parlando) le mie impressioni.
Il libro in questione è Il libro delle cose nuove e strane di Michel Faber (edito in Italia da Bompiani e tradotto da A. Pezzotta). 
L'autore, olandese di origine, ma che scrive in lingua inglese, si è fatto conoscere nel 2002 con il suo romanzo Il petalo cremisi e il bianco, dal quale è stata tratta anche una mini serie TV. Devo ancora leggere questo volume e ne sono molto incuriosita, le recensioni ad ogni modo sono tutte molto positive.
Il libro in questione invece è uscito nel 2014 e a livello di trama non ha decisamente nulla a che vedere con il precedente!

Trama:
Peter Leigh è un pastore protestante britannico e felicemente sposato con Beatrice, con la quale condivide ogni cosa, a partire dalla fede e dalla passione per la loro parrocchia. La sua vita viene completamente sconvolta quando viene scelto per una delicata missione, in senso proprio letterario: dovrà infatti recarsi su Oasis, un pianeta ai confini dell'universo e portare la parola di Dio ai nativi del posto. Una misteriosa fondazione, denominata USTC è disposta a spendere milioni di dollari per spedire Peter nello spazio e raggiungere la colonia terrestre su Oasis. Peter dovrà adattarsi alle alienanti condizioni di vita degli addetti di USTC e della loro base, alla popolazione indigena che lo accoglie come un vero salvatore e soprattutto alla lontananza da Bea, interrotta solo dalle fitte email che i due si scambiano, ad anni luce di distanza l'uno dall'altra. Ma potrà bastare per due persone così legate? Basterà a trasmettere a Bea le bellezze e bizzarrie di un nuovo pianeta? O a Peter per capire cosa sta succedendo a casa? La missione metterà a dura prova ogni cosa in cui Peter ha mai creduto, creando un divario forse insanabile tra lui e sua moglie, ma anche tra la sua nuova casa e il suo vecchio pianeta.

Recensione
Penso si sia già capito che questo libro mi è piaciuto moltissimo. Di più. Devo ringraziare Jen Campbell per averne parlato così tanto l'anno scorso...
 Le premesse erano già ottime, la combinazione di religione e fantascienza molto intrigante (ma non originale) e sufficienti ad attrarmi nonostante la connotazione romantica che di norma mi avrebbe tenuto alla larga. In questo caso però, il rapporto dei due protagonisti, vero nodo centrale della vicenda, mi ha coinvolto e toccato fin dalle prime pagine, facendomi affezionare a loro due anche in quanto coppia. Se tremavo per loro era più per il loro matrimonio che per le loro singole vite.
Non si può parlare di questo libro senza parlare di Cristianesimo, perchè ogni pagina contiene almeno una citazione da un verso della Bibbia, il "libro delle cose nuove e strane" come lo chiamano gli indigeni. Che ne accolgono il messaggio di speranza e pace come ogni pastore sognerebbe: a braccia spalancate. Peter non si trova certo a dover affrontare la diffidenza o reticenza che avrà invece accolto molti missionari di epoche passate. Il suo gregge non può fare a meno di lui e delle sue letture, per quanto difficili da comprendere, Questi "alieni" (l'unico alieno lì è Peter naturalmente) non rispecchiano nessuno dei canoni con i quali siamo soliti classificare e giudicare le persone e Peter ( e con lui il lettore) dovrà trovare il modo di avvicinarsi a questi personaggi apparentemente identici e non distinguibili, andare più a fondo e oltre a tratti caratterizzanti classici quali il viso, la voce, l'età e anche il genere, per apprezzare ciò che resta, la vera essenza di un essere vivente. 
La storia ci viene presentata soprattutto dal punto vista di Peter, mentre Bea, la Penelope in attesa, resta più in ombra. Ma quando si fa sentire nelle sue lettere, sempre più lunghe e precise di Peter, incapace di descrivere ciò che lo circonda, esprime tutta la sua nostalgia, il senso di abbandono e di mancanza di comunicabilità, che spesso si prova quando la propria metà è lontana. Non aiuta che quello che racconta siano fatti terribili, in un crescendo senza via di fuga. Ma ho molto apprezzato le sue bacchettate alle proposte deliranti di Peter (trasferiamoci in campagna, farai la casalinga, molla il tuo lavoro, te lo dico io). In certi casi ero in grado di prevedere perfettamente la reazione di Bea, dava esattamente le risposte che avrei dato anch'io.
Col passare del tempo però, stando con Peter nel suo villaggio indigeno tranquillo e beato, a poco a poco sono i racconti quotidiani di Bea a sembrarci lontani, confusi e incomprensibili. Ci si sente, come Peter, più a casa in mezzo alla natura umida e primitiva di Oasis che nelle stanze invase di luci al neon, elettricità e aria condizionata della base terrestre. Peter sembra spinto ad allontanarsi dalla base col rischio di "go native" (andare a fare il primitivo) come dicono i suoi colleghi, e come sembra essere successo al suo predecessore, tale Kurtzberg di reminescenza Conradiana...
Da appassionata linguista ho naturalmente apprezzato profondamente gli aspetti linguistici e traduttivi di questa storia. Gli abitanti così poco antropomorfi di Oasis hanno delle notevoli difficoltà di pronuncia con l'inglese della Bibbia (la King James) e di Peter, il quale quindi si trova a dover trascrivere passaggi interi del Nuovo Testamento per adattarli alle capacità orali dei suoi nuovi fedeli. Ma dovrà anche trovare un modo per far loro comprendere dei concetti impossibili da tradurre o da capire per chi non ha mai visto un pesce, simbolo così necessario al cristianesimo o non sa cosa distinguere tra i concetti di uomo e donna. La domanda che sorge quindi è: il messaggio di Dio è veramente universale? 

Non consiglio questo libro a chi non ama le letture a ritmo più contenuto, a chi non ama immergersi nel piacere della lingua e a chi preferisce tenersi alla larga dalle visioni 'di parte' (Peter si lascia sfuggire un'opinione poco elegante sull'Islam...). Consigliato a tutti gli altri.

lunedì 2 maggio 2016

Rainbow challenge: Aprile

Buongiorno,
Aprile è finito e quindi qui presenterò i libri letti durante il mese scorso per la Rainbow Challenge di Ilenia (qui il link per la partecipazione, l'iscrizione è ancora aperta). La sfida è molto semplice, basta leggere 6 libri con colori di copertina diversa da aprile fino a giugno. Si può fare!
Qui il link alle recensioni di aprile di Ilenia: Rainbow challenge: recap di aprile

Copertina rossa: La ragazza dello Sputnik di Haruki Murakami

Trama: 
Sumire, una riservata aspirante scrittrice, disorganizzata e impulsiva, incontra la matura, e sposata Myu, ricca donna d'affari, dalla vita molto regolata e schematica. L'incontro le cambia la vita, portandola a lavorare per questa donna che presto scoprirà di amare incondizionatamente. La storia viene narrata però dal punto di vista del migliore amico di Sumire, che verrà presto coinvolto in un mistero dai toni inesorabilmente maliconici.

Recensione:
Definirei questo romanzo come un Murakami classico, ottimo per chi si vuole approciare per la prima volta a questo autore (anche perché conta poco più di 200 pagine), perché contiene tutti gli elementi a lui più cari: la musica classica, dei personaggi dalla psiche confusa e alienata, un viaggio in Occidente e dei bizzarri accadimenti dal forte sapore onirico.
La storia d'amore che viene narrata è tenera e quindi fragile, con un elemento tragico intrinseco che tiene sulle spine il lettore. Il personaggio di Myu (che somiglia molto alla protagonista di 1Q84) non si riesce a comprendere fino in fondo e anche quando si apre al narratore, condividendo un momento della sua vita fondamentale e molto complesso, non riesce a spiegarsi comunque, restando in qualche modo irraggiungibile, proprio come il satellite che lei comicamente confonde con la Beatnik Generation che Sumire adora.
I personaggi di Murakami sono sempre in qualche modo fuori dal mondo, sospesi in un limbo, in attesa di qualcosa. E la sua scrittura trasmette molto bene questa sensazione di sospensione e attesa, da sala di attesa di un aereoporto. Sumire è incapace di portare a termine o anche solo iniziare un romanzo, per quanto la scrittura sia la sua vita. Qualcosa la blocca e la fa rimandare. Anche nel suo rapporto con Myu questo sarà l'elemento caratterizzante e solo quando si deciderà a dichiararsi le cose si metteranno improvvisamente in moto, anche troppo in fretta.
Quello che risalta poi sempre nei suoi romanzi, è la passione di questo autore per l'Occidente, in questo caso si parla di Italia ma anche di Grecia, paesi che attraverso i suoi occhi assumono un aspetto esotico e quasi magico. Quanto mi piacerebbe vederli così... L'isola sulla quale si rifugiano le due donne ha una forte reminescenza da Odissea, ricordando l'isola di Calipso, un paradiso in terra, in cui il tempo sembra fermarsi. Ma prima o poi le ruote del tempo devono riprendere a girare, cosa accadrà allora?


Copertina bianca: In altre parole di Jhumpa Lahiri 


Il bianco conta come colore? O è l'assenza del colore? Facciamolo contare. Questo libro mi è piaciuto moltissimo e ne ho parlato con fervore e passione qui: recensione
















Chissà che colori appariranno il mese prossimo...