mercoledì 4 maggio 2016

Recensione #13: The Book of Strange New Things - Michel Faber


Ho appena concluso questo mattoncino di 586 pagine e devo mettere su carta (metaforicamente parlando) le mie impressioni.
Il libro in questione è Il libro delle cose nuove e strane di Michel Faber (edito in Italia da Bompiani e tradotto da A. Pezzotta). 
L'autore, olandese di origine, ma che scrive in lingua inglese, si è fatto conoscere nel 2002 con il suo romanzo Il petalo cremisi e il bianco, dal quale è stata tratta anche una mini serie TV. Devo ancora leggere questo volume e ne sono molto incuriosita, le recensioni ad ogni modo sono tutte molto positive.
Il libro in questione invece è uscito nel 2014 e a livello di trama non ha decisamente nulla a che vedere con il precedente!

Trama:
Peter Leigh è un pastore protestante britannico e felicemente sposato con Beatrice, con la quale condivide ogni cosa, a partire dalla fede e dalla passione per la loro parrocchia. La sua vita viene completamente sconvolta quando viene scelto per una delicata missione, in senso proprio letterario: dovrà infatti recarsi su Oasis, un pianeta ai confini dell'universo e portare la parola di Dio ai nativi del posto. Una misteriosa fondazione, denominata USTC è disposta a spendere milioni di dollari per spedire Peter nello spazio e raggiungere la colonia terrestre su Oasis. Peter dovrà adattarsi alle alienanti condizioni di vita degli addetti di USTC e della loro base, alla popolazione indigena che lo accoglie come un vero salvatore e soprattutto alla lontananza da Bea, interrotta solo dalle fitte email che i due si scambiano, ad anni luce di distanza l'uno dall'altra. Ma potrà bastare per due persone così legate? Basterà a trasmettere a Bea le bellezze e bizzarrie di un nuovo pianeta? O a Peter per capire cosa sta succedendo a casa? La missione metterà a dura prova ogni cosa in cui Peter ha mai creduto, creando un divario forse insanabile tra lui e sua moglie, ma anche tra la sua nuova casa e il suo vecchio pianeta.

Recensione
Penso si sia già capito che questo libro mi è piaciuto moltissimo. Di più. Devo ringraziare Jen Campbell per averne parlato così tanto l'anno scorso...
 Le premesse erano già ottime, la combinazione di religione e fantascienza molto intrigante (ma non originale) e sufficienti ad attrarmi nonostante la connotazione romantica che di norma mi avrebbe tenuto alla larga. In questo caso però, il rapporto dei due protagonisti, vero nodo centrale della vicenda, mi ha coinvolto e toccato fin dalle prime pagine, facendomi affezionare a loro due anche in quanto coppia. Se tremavo per loro era più per il loro matrimonio che per le loro singole vite.
Non si può parlare di questo libro senza parlare di Cristianesimo, perchè ogni pagina contiene almeno una citazione da un verso della Bibbia, il "libro delle cose nuove e strane" come lo chiamano gli indigeni. Che ne accolgono il messaggio di speranza e pace come ogni pastore sognerebbe: a braccia spalancate. Peter non si trova certo a dover affrontare la diffidenza o reticenza che avrà invece accolto molti missionari di epoche passate. Il suo gregge non può fare a meno di lui e delle sue letture, per quanto difficili da comprendere, Questi "alieni" (l'unico alieno lì è Peter naturalmente) non rispecchiano nessuno dei canoni con i quali siamo soliti classificare e giudicare le persone e Peter ( e con lui il lettore) dovrà trovare il modo di avvicinarsi a questi personaggi apparentemente identici e non distinguibili, andare più a fondo e oltre a tratti caratterizzanti classici quali il viso, la voce, l'età e anche il genere, per apprezzare ciò che resta, la vera essenza di un essere vivente. 
La storia ci viene presentata soprattutto dal punto vista di Peter, mentre Bea, la Penelope in attesa, resta più in ombra. Ma quando si fa sentire nelle sue lettere, sempre più lunghe e precise di Peter, incapace di descrivere ciò che lo circonda, esprime tutta la sua nostalgia, il senso di abbandono e di mancanza di comunicabilità, che spesso si prova quando la propria metà è lontana. Non aiuta che quello che racconta siano fatti terribili, in un crescendo senza via di fuga. Ma ho molto apprezzato le sue bacchettate alle proposte deliranti di Peter (trasferiamoci in campagna, farai la casalinga, molla il tuo lavoro, te lo dico io). In certi casi ero in grado di prevedere perfettamente la reazione di Bea, dava esattamente le risposte che avrei dato anch'io.
Col passare del tempo però, stando con Peter nel suo villaggio indigeno tranquillo e beato, a poco a poco sono i racconti quotidiani di Bea a sembrarci lontani, confusi e incomprensibili. Ci si sente, come Peter, più a casa in mezzo alla natura umida e primitiva di Oasis che nelle stanze invase di luci al neon, elettricità e aria condizionata della base terrestre. Peter sembra spinto ad allontanarsi dalla base col rischio di "go native" (andare a fare il primitivo) come dicono i suoi colleghi, e come sembra essere successo al suo predecessore, tale Kurtzberg di reminescenza Conradiana...
Da appassionata linguista ho naturalmente apprezzato profondamente gli aspetti linguistici e traduttivi di questa storia. Gli abitanti così poco antropomorfi di Oasis hanno delle notevoli difficoltà di pronuncia con l'inglese della Bibbia (la King James) e di Peter, il quale quindi si trova a dover trascrivere passaggi interi del Nuovo Testamento per adattarli alle capacità orali dei suoi nuovi fedeli. Ma dovrà anche trovare un modo per far loro comprendere dei concetti impossibili da tradurre o da capire per chi non ha mai visto un pesce, simbolo così necessario al cristianesimo o non sa cosa distinguere tra i concetti di uomo e donna. La domanda che sorge quindi è: il messaggio di Dio è veramente universale? 

Non consiglio questo libro a chi non ama le letture a ritmo più contenuto, a chi non ama immergersi nel piacere della lingua e a chi preferisce tenersi alla larga dalle visioni 'di parte' (Peter si lascia sfuggire un'opinione poco elegante sull'Islam...). Consigliato a tutti gli altri.

lunedì 2 maggio 2016

Rainbow challenge: Aprile

Buongiorno,
Aprile è finito e quindi qui presenterò i libri letti durante il mese scorso per la Rainbow Challenge di Ilenia (qui il link per la partecipazione, l'iscrizione è ancora aperta). La sfida è molto semplice, basta leggere 6 libri con colori di copertina diversa da aprile fino a giugno. Si può fare!
Qui il link alle recensioni di aprile di Ilenia: Rainbow challenge: recap di aprile

Copertina rossa: La ragazza dello Sputnik di Haruki Murakami

Trama: 
Sumire, una riservata aspirante scrittrice, disorganizzata e impulsiva, incontra la matura, e sposata Myu, ricca donna d'affari, dalla vita molto regolata e schematica. L'incontro le cambia la vita, portandola a lavorare per questa donna che presto scoprirà di amare incondizionatamente. La storia viene narrata però dal punto di vista del migliore amico di Sumire, che verrà presto coinvolto in un mistero dai toni inesorabilmente maliconici.

Recensione:
Definirei questo romanzo come un Murakami classico, ottimo per chi si vuole approciare per la prima volta a questo autore (anche perché conta poco più di 200 pagine), perché contiene tutti gli elementi a lui più cari: la musica classica, dei personaggi dalla psiche confusa e alienata, un viaggio in Occidente e dei bizzarri accadimenti dal forte sapore onirico.
La storia d'amore che viene narrata è tenera e quindi fragile, con un elemento tragico intrinseco che tiene sulle spine il lettore. Il personaggio di Myu (che somiglia molto alla protagonista di 1Q84) non si riesce a comprendere fino in fondo e anche quando si apre al narratore, condividendo un momento della sua vita fondamentale e molto complesso, non riesce a spiegarsi comunque, restando in qualche modo irraggiungibile, proprio come il satellite che lei comicamente confonde con la Beatnik Generation che Sumire adora.
I personaggi di Murakami sono sempre in qualche modo fuori dal mondo, sospesi in un limbo, in attesa di qualcosa. E la sua scrittura trasmette molto bene questa sensazione di sospensione e attesa, da sala di attesa di un aereoporto. Sumire è incapace di portare a termine o anche solo iniziare un romanzo, per quanto la scrittura sia la sua vita. Qualcosa la blocca e la fa rimandare. Anche nel suo rapporto con Myu questo sarà l'elemento caratterizzante e solo quando si deciderà a dichiararsi le cose si metteranno improvvisamente in moto, anche troppo in fretta.
Quello che risalta poi sempre nei suoi romanzi, è la passione di questo autore per l'Occidente, in questo caso si parla di Italia ma anche di Grecia, paesi che attraverso i suoi occhi assumono un aspetto esotico e quasi magico. Quanto mi piacerebbe vederli così... L'isola sulla quale si rifugiano le due donne ha una forte reminescenza da Odissea, ricordando l'isola di Calipso, un paradiso in terra, in cui il tempo sembra fermarsi. Ma prima o poi le ruote del tempo devono riprendere a girare, cosa accadrà allora?


Copertina bianca: In altre parole di Jhumpa Lahiri 


Il bianco conta come colore? O è l'assenza del colore? Facciamolo contare. Questo libro mi è piaciuto moltissimo e ne ho parlato con fervore e passione qui: recensione
















Chissà che colori appariranno il mese prossimo...

lunedì 18 aprile 2016

Tag: Ingredienti libreschi

Ilenia l'altro giorno ha pubblicato un Tag molto carino sul suo blog Libri di cristallo.
Il tag combina cibo e libri, sempre un'ottima accoppiata!
Bando alle ciance, ecco le domande:

1. Prezzemolo: un libro che vedi ovunque: 
Molto indecisa su questo, mi sembra che le librerie abbiano tutte e sempre le stesse cose ormai, ma tra i libri che vedo sempre in primo piano ci sono eternamente L'alchimista di Paolo Coelho e i libri di Clara Sanchez... Garzanti, non hai nient'altro da proporre??



2. Cipolla: un libro che solo a sentirlo nominare ti metteresti a piangere:
Non mi è molto chiaro per quale motivo dovrei piangere, ma visto che abbiamo a che fare con le cipolle rispondo con qualcosa dalle lacrime facili, automatiche: il diario di Anne Frank. Non penso abbia bisogno di spiegazioni.

3. Caffé: un libro che ti ha tenuta sveglia:
Sono molti i libri che mi hanno tenuto compagnia ad orari notturni improponibili (con devastanti conseguenze diurne). Ultimamente forse solo la trilogia Hunger Games. In particolare citerò il secondo volume, che è forse quello dei tre che mi è piaciuto di più. 
Avrei in effetti proprio voglia di uno di quei libri impossibili da mettere da parte per dormire!



4. Patatine Fritte: una serie che non hai potuto fare a meno di leggere tutta d'un fiato, un libro dopo l'altro:
La trilogia Divergent di Veronica Roth. Ma in generale queste trilogie da giovani adulti sono tutte scritte in modo da farti voler leggere i seguiti subito. Idem anche per le cronache lunari di Marissa Meyer. 




5. Lievito: un libro il cui successo è stato montato troppo:
Allora, qua citerò due classici che secondo me sono molto sopravvalutati: Il giovane Holden di Salinger e Il grande Gatsby di Fitzgerald. Capiamoci, se il primo mi è stato proprio antipatico, il secondo non mi è affatto dispiaciuto. Ma vista la fama che si portano dietro mi aspettavo molto, ma molto di più. 



6. Cupcake: un libro dalle mille sfumature e colori:
Non possiedo molti libri super colorati o a tinte sfavillanti. Mi viene in mente però Amrita di Banana Yoshimoto (devo ancora leggerlo), che ha una bella sfumatura di colori.
Nota: non mi piacciono i cupcake super colorati! Lo so, sarò in minoranza, ma li preferisco con colori naturali, una bella crema bianca al limone o marroncina al cioccolato. molto più invitante!

7. Olio: un libro che ti è scivolato via dalla mente:
La congiura di Merlino di Diane Wynne Jones. So di aver letto questo libro molti anni fa, ricordo la copertina ecc, ma non mi ricordo assolutamente niente della trama. Temo che voglia dire che non mi ha fatto impazzire...



8. Limone: un libro che è piaciuto a tutti ma che a te ha fatto rizzare i peli:
In che senso, scusate? Perchè i limoni piacciono a tutti? Boh! Comunque dirò Eragon, di Christopher Paolini. Mi dispiace, ma non ci siamo proprio. 

Tag: TUTTI!!! Muahahahah! 

venerdì 15 aprile 2016

Recensione #12: In altre parole - Jhumpa Lahiri

Scrivo subito questa recensione perché questo libro è bellissimo!

Ho scoperto Jhumpa Lahiri casualmente l'anno scorso, cercando testi di autori con un background multiculturale per la tesi. La sua raccolta di racconti Interpreter of Maladies (L'interprete dei malanni?) mi ha catturata. Una prosa coinvolgente e toccante, personaggi ben caratterizzati e vivi, un'ambiente culturale molto ricco e particolareggiato. Insomma, scrive molto bene la signora Lahiri. Di origini bengalesi, ha vissuto la maggior parte della vita negli Stati Uniti e scrive in lingua inglese. O meglio. Scriveva in inglese. Perchè da un po' di tempo la signora si è perdutamente innamorata della nostra lingua, l'ha studiata e ormai la padroneggia così bene, da essere in grado di scrivere direttamente in questa lingua. Ecco. Questo libro racconta proprio questa storia. 
In lettura dovevo ricordarmi di tanto in tanto, che quest'autrice non è italiana, perchè la sua padronanza del linguaggio è eccezionale. Sicuramente si è fatta aiutare e correggere, ma in ogni caso, scrivo in un modo in cui io non scriverò mai. A prescindere.
Descrive qui il suo folle innamoramento con l'italiano, accaduto per caso, quasi, e poi impossibile da mettere da parte. La storia inizia con un viaggio in Italia, con la sorella, per ammirare l'architettura, soprattutto quella di Firenze. Ma Jhumpa si accorge di qualcos'altro oltre all'arte:

Ma dall'inizio il mio rapporto con l'Italia è tanto uditivo quanto visuale. Benchè ci siano poche macchine, la città [Firenze] ronza. Mi rendo conto di un rumore che mi piace, delle conversazioni, delle frasi, delle parole che sento ovunque vada. Come se tutta la città fosse un teatro che ospita un pubblico leggermente inquieto, che chiacchiera, prima dell'inizio dello spettacolo. (pp. 21-22)

Di ritorno da questo viaggio inizia a studiare la lingua, prima da sola, poi con vari insegnanti. Fino alla fatidica decisione: trasferirsi a Roma con la famiglia. L'impatto con la città eterna è forte, è un mondo diverso per lei che ha sempre vissuto in America, ma finalmente è immersa nell'italiano, è costretta ad usarlo costantemente. E decide di iniziare a scrivere in questa lingua. L'impresa è impegnativa, molto faticosa, frustrante, ma se c'è una cosa che si capisce di questa donna, è che quando si mette in testa una cosa niente e nessuno è capace di distoglierla. Una forza di volontà di ferro!
E poi, si trova davanti l'occasione di scrivere un pezzo in italiano e doverlo tradurre in inglese. Di tradursi insomma, una cosa che non molti autori fanno:

Finora l'analogia era sempre stata romantica: un colpo di fulmine, un innamoramento. Adesso, mentre traduco me stessa, mi sento la madre di due figli. Mi accorgo di aver cambiato il mio atteggiamento nei confronti della lingua, ma forse il cambiamento riflette uno sviluppo, un percorso naturale. [...] Provo una passione ancora più intensa, più pura, più trascendente per i miei figli. La maternità è un legame viscerale, un amore incondizionato, una devozione che va oltre l'attrazione e la compatibilità. (pp. 91-92)

Sono molto curiosa di vedere come andrà avanti questo percorso. L'autrice sembra molto convinta a voler scrivere solo in italiano ora come ora e non penso che le manchino le capacità per farlo.
Consiglio questo libro a tutti quelli che, provengono da un ambito multilinguistico e sanno cosa vuol dire navigare tra lingue diverse e non sapere con quale identificarsi. Ma anche a chi a fatica ama e studia una lingua straniera, che vorrebbe fare sua, ma per la quale si sente sempre incompleto e distante. Ecco, la Lahiri conosce a fondo queste situazioni e le sa esprimere al meglio, Sembra saer leggere i miei pensieri e dotarli di una compattezza linguistica, che nella mia testa non hanno. Grazie.