venerdì 15 aprile 2016

Recensione #12: In altre parole - Jhumpa Lahiri

Scrivo subito questa recensione perché questo libro è bellissimo!

Ho scoperto Jhumpa Lahiri casualmente l'anno scorso, cercando testi di autori con un background multiculturale per la tesi. La sua raccolta di racconti Interpreter of Maladies (L'interprete dei malanni?) mi ha catturata. Una prosa coinvolgente e toccante, personaggi ben caratterizzati e vivi, un'ambiente culturale molto ricco e particolareggiato. Insomma, scrive molto bene la signora Lahiri. Di origini bengalesi, ha vissuto la maggior parte della vita negli Stati Uniti e scrive in lingua inglese. O meglio. Scriveva in inglese. Perchè da un po' di tempo la signora si è perdutamente innamorata della nostra lingua, l'ha studiata e ormai la padroneggia così bene, da essere in grado di scrivere direttamente in questa lingua. Ecco. Questo libro racconta proprio questa storia. 
In lettura dovevo ricordarmi di tanto in tanto, che quest'autrice non è italiana, perchè la sua padronanza del linguaggio è eccezionale. Sicuramente si è fatta aiutare e correggere, ma in ogni caso, scrivo in un modo in cui io non scriverò mai. A prescindere.
Descrive qui il suo folle innamoramento con l'italiano, accaduto per caso, quasi, e poi impossibile da mettere da parte. La storia inizia con un viaggio in Italia, con la sorella, per ammirare l'architettura, soprattutto quella di Firenze. Ma Jhumpa si accorge di qualcos'altro oltre all'arte:

Ma dall'inizio il mio rapporto con l'Italia è tanto uditivo quanto visuale. Benchè ci siano poche macchine, la città [Firenze] ronza. Mi rendo conto di un rumore che mi piace, delle conversazioni, delle frasi, delle parole che sento ovunque vada. Come se tutta la città fosse un teatro che ospita un pubblico leggermente inquieto, che chiacchiera, prima dell'inizio dello spettacolo. (pp. 21-22)

Di ritorno da questo viaggio inizia a studiare la lingua, prima da sola, poi con vari insegnanti. Fino alla fatidica decisione: trasferirsi a Roma con la famiglia. L'impatto con la città eterna è forte, è un mondo diverso per lei che ha sempre vissuto in America, ma finalmente è immersa nell'italiano, è costretta ad usarlo costantemente. E decide di iniziare a scrivere in questa lingua. L'impresa è impegnativa, molto faticosa, frustrante, ma se c'è una cosa che si capisce di questa donna, è che quando si mette in testa una cosa niente e nessuno è capace di distoglierla. Una forza di volontà di ferro!
E poi, si trova davanti l'occasione di scrivere un pezzo in italiano e doverlo tradurre in inglese. Di tradursi insomma, una cosa che non molti autori fanno:

Finora l'analogia era sempre stata romantica: un colpo di fulmine, un innamoramento. Adesso, mentre traduco me stessa, mi sento la madre di due figli. Mi accorgo di aver cambiato il mio atteggiamento nei confronti della lingua, ma forse il cambiamento riflette uno sviluppo, un percorso naturale. [...] Provo una passione ancora più intensa, più pura, più trascendente per i miei figli. La maternità è un legame viscerale, un amore incondizionato, una devozione che va oltre l'attrazione e la compatibilità. (pp. 91-92)

Sono molto curiosa di vedere come andrà avanti questo percorso. L'autrice sembra molto convinta a voler scrivere solo in italiano ora come ora e non penso che le manchino le capacità per farlo.
Consiglio questo libro a tutti quelli che, provengono da un ambito multilinguistico e sanno cosa vuol dire navigare tra lingue diverse e non sapere con quale identificarsi. Ma anche a chi a fatica ama e studia una lingua straniera, che vorrebbe fare sua, ma per la quale si sente sempre incompleto e distante. Ecco, la Lahiri conosce a fondo queste situazioni e le sa esprimere al meglio, Sembra saer leggere i miei pensieri e dotarli di una compattezza linguistica, che nella mia testa non hanno. Grazie.

2 commenti:

  1. Non conoscevo né questo libro né questa autrice, ma credo proprio di dover rimediare :) me lo segno subito!! :)

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    1. Si, se non si era capito mi piace molto ... Tanta, tanta invidia!

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